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Contratti Ingannevoli e Terapie per l’Autismo: Il Lato Oscuro
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Un viaggio tra esperienze dirette, clausole nascoste e la tutela dei diritti delle famiglie
Quando un genitore riceve la diagnosi di autismo per il proprio figlio, si apre un mondo nuovo, complesso e carico di domande. Le prime risposte vengono spesso cercate all’esterno, affidandosi a enti che offrono supporto terapeutico. In questo momento delicato, le cooperative sociali e le associazioni sembrano offrire un porto sicuro. Ma la realtà, in molti casi, è ben diversa.
Dietro il volto apparentemente rassicurante di alcune cooperative si celano contratti capestro, false promesse terapeutiche, e una logica commerciale che nulla ha a che fare con la vera cura del bambino. Questo articolo racconta queste dinamiche attraverso esperienze dirette, come quella della piccola Rea Silvia, e fornisce strumenti concreti per riconoscere e difendersi da questi abusi.
Il caso di Rea Silvia: una storia che merita di essere raccontata
Rea Silvia è una bambina autistica, con un'intelligenza e una personalità straordinaria. Come molte famiglie, i suoi genitori hanno cercato il meglio: una cooperativa che offriva terapie “personalizzate”, educatori ABA, logopedisti, psicologi. L’impressione iniziale era quella di professionalità e disponibilità. Ma dopo aver firmato il contratto, le difficoltà sono emerse una dopo l’altra.
In poche parole: un incubo mascherato da sostegno.
Cosa si intende per “contratto ingannevole”?
Si parla di contratto ingannevole quando l’accordo che viene proposto ai genitori:
- Presenta clausole oscure o eccessivamente tecniche;
- Vincola per lunghi periodi senza possibilità reale di recesso;
- Include costi “nascosti” o spese non preventivate;
- Non specifica chiaramente le figure professionali coinvolte;
- Prevede penali o conseguenze sproporzionate in caso di risoluzione anticipata.
Tutto questo avviene spesso in un momento di estrema fragilità, quando la famiglia è psicologicamente vulnerabile e disposta a firmare qualsiasi cosa pur di “fare il meglio” per il proprio figlio.
Come operano queste cooperative o associazioni?
Molte cooperative e associazioni agiscono al limite della legalità. Ecco alcune delle loro modalità più comuni:
- Promettono progetti terapeutici “su misura”, ma applicano lo stesso protocollo per tutti i bambini;
- Offrono terapie con tirocinanti o figure non accreditate, senza informarne i genitori;
- Propongono pacchetti prepagati non rimborsabili, anche in caso di interruzione del servizio;
- Inseriscono nei contratti clausole vessatorie, come la rinuncia preventiva a ogni forma di contestazione;
- Non rilasciano regolari ricevute, rendendo impossibile usufruire di detrazioni fiscali o rimborsi.
Aspetti giuridici da tenere presenti
Ogni contratto che riguarda servizi per minori, specialmente se con disabilità, deve rispettare alcuni principi fondamentali di tutela. Ecco le clausole più pericolose da individuare:
- Clausola di recesso limitato: alcune cooperative vincolano il genitore per 6 o 12 mesi, con penali esorbitanti in caso di recesso anticipato;
- Assenza di dettaglio professionale: se non viene indicato chiaramente chi svolgerà le terapie (con nome, titolo, iscrizione a ordini professionali), il contratto è da considerarsi incompleto;
- Obblighi unilaterali: contratti che impongono al genitore pagamenti fissi anche in caso di mancata erogazione del servizio.
Un contratto corretto dovrebbe contenere: dettagli sui professionisti, modalità di erogazione, durata del rapporto, costi precisi e condizioni di recesso e rimborso chiare.
Il mito della “terapia personalizzata”
Uno degli elementi più ingannevoli è l’uso della parola “personalizzazione”. In teoria, ogni bambino dovrebbe ricevere un piano adatto alle sue caratteristiche. In pratica, molti centri applicano programmi prefabbricati, compilano piani terapeutici in fotocopia, e propongono cicli standardizzati senza aggiornamenti individuali.
Nel caso di Rea Silvia, il piano individuale diventava solo uno slogan da brochure.
Come difendersi: una guida per i genitori
Prima della firma:
- Chiedi di portare il contratto a casa per leggerlo con calma;
- Verifica i titoli professionali dei terapisti e chiedi di incontrarli;
- Domanda esplicitamente: "Cosa succede se mio figlio non si trova bene?";
- Controlla se sono previste penali in caso di interruzione;
- Fai ricerche online: leggi le recensioni, contatta altri genitori.
Dopo la firma:
- Conserva ogni documento, email e comunicazione;
- Richiedi sempre ricevute dettagliate;
- Fai valere i tuoi diritti: un contratto con clausole abusive può essere impugnato;
- Se qualcosa non va, rivolgiti a un avvocato, alle associazioni per i diritti delle famiglie, o all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato.
La vergogna del silenzio: perché denunciare è un atto di coraggio
Troppe famiglie tacciono per vergogna. Hanno paura di ammettere di aver firmato qualcosa che le ha danneggiate. Ma il silenzio protegge solo chi abusa. Denunciare, anche solo con una segnalazione anonima, significa proteggere i bambini futuri, significa rompere il meccanismo dell’indifferenza.
La storia di Rea Silvia, e quella di molte altre famiglie, deve servire da esempio e da monito.
Conclusione
Nel mondo della disabilità, la trasparenza è la base di ogni relazione. Un contratto è un patto di fiducia, non un’arma legale. Le famiglie meritano servizi onesti, chiari e costruiti davvero sui bisogni dei bambini. Chi lucra sulla fragilità, chi specula sulla speranza, non è un operatore sociale: è un mercante travestito.
Il futuro dei nostri figli dipende anche dalla nostra capacità di scegliere, denunciare e pretendere verità.